sabato 5 febbraio 2011

Varco

Un gabbiano posato su un comignolo nel sole del pomeriggio. Immobile. Con la faccia al sole, un sole velocissimo a cambiare colore, nell'attimo degli arancioni rosati e poi sempre più rossi. Osservo il gabbiano, lo scorgo riconoscendone la forma, se non avesse il becco e le zampe potrebbe essere un mattone per quanto è fisso. Lo osservo e mi fermo anch'io, osservare attentamente conduce alla contemplazione e la contemplazione altro non è che lo svuotamento dei pensieri e l'ingresso in un altro mondo, è la sospensione del giudizio, dell'affanno, del tempo. Il tempo si ferma e, in un solo attimo, le immagini si dilatano fino a diventare consapevolezza, varco. Non basterebbero mille ragionamenti corretti o sbagliati per poter arrivare a quell'attimo. 

Ferma, guardando il gabbiano, mi ci sono identificata. Ho iniziato a sentire il sole sul viso, ho strizzato gli occhi e dall'alto del comignolo la vista della città era magnifica e silenziosa. Tutta rosa e arancio e violetto. Stavo bene, scomparse le ansie e le remore e i dubbi e il desiderio ardente per chi non riesco a raggiungere, non ancora, pur sentendo un senso di appartenenza che non riesco a spiegare in alcun modo e che respingo perché vorrebbe dire accettare qualcosa a cui non mi sento pronta e per cui non mi sento in grado ma che desidero come non ho mai desiderato nulla in tutta la mia vita. Un vento. Fissa al sole ne ho sentito il calore che si spandeva come una doccia leggera e antica sul corpo e ho sentito i raggi che arrivavano da chissà quale tempo e da uno spazio ampio, grandissimo, largo, immenso. In quel momento un gabbiano dalle ali spalancate è arrivato, senza posarsi ha scosso l'aria e quel sentire. L'altro gabbiano senza la minima esitazione si è slanciato nel vuoto. I due volteggiando punteggiavano il rosso del cielo di tocchi bianchi e mossi di vento. Ho sorriso e ho compreso cosa vuol dire sapere aspettare e saper vivere ciò che può arrivare seguendo il primissimo infallibile necessario istinto.





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