mercoledì 3 dicembre 2008

Colori proibiti e un baleno

Stavo andando a sbattere.


Tra la pioggia battente e i vetri appannati, tra l'asfalto liquido e scivoloso e impreciso come una pennellata troppo imbevuta d'olio e trementina, tra i clacson che coprivano il rumore degli alberi al vento e tra un motorino a destra e uno a sinistra a sfrecciare come perline in fili di nylon, tra chioschetti di fiori sistemati su apecar, sfasciacarrozze con mille portiere stese come fossero panni e gomme con le scritte bianche disegnate a mo' di graffiti rupestri e facce dubbie a contrattare, tra donne che correvano verso l'autobus con i figli in braccio avvolti in giacchetti impermeabili, tra altre donne ad aspettare umiliazioni strumentali, tra ragazzi africani sorridenti e altrettanti preoccupati, tra gru stagliate immobili nel loro perenne giallo ocra, tra palazzi dall'architettura omicida, tra chiazze di un verde testardo che è solo di Roma, tra tutta questa vita e tra macchine in movimento, si stagliava altissimo a semicerchio un arcobaleno di rara nitidezza. La vista inaspettata mi ha tenuta con gli occhi al cielo e in quell'istante, mentre stavo andando a sbattere, mi si è chiarita d'un tratto la monumentale semplicità della natura: come se desse a tutti i colori sciatti e sfatti di una via a grande scorrimento una delicatezza non vista, come se li riportasse su, in un arco più ampio di quanto si possa intuire, altrove, in un riscatto momentaneo di bellezza. Stavo andando a sbattere contro un pregiudizio. Ho sorriso per un bel pezzo. Mi ha salvata un arcobaleno.






domenica 30 novembre 2008

Angeli mascherati

Erano giorni in cui avevo il futuro davanti a me.


Camminavo per Parigi accanto al mio Maestro di allora, con la testa innamorata di tutta la bellezza che per la prima volta vedevo e sentivo.


Ero spaventata. Ché la bellezza e il futuro hanno un gusto risoluto che solo i forti conoscono senza provarne spavento.


Ci fermammo un giorno solo a Parigi. E in un pomeriggio, verso il crepuscolo, inebriata dalle viuzze del quartiere latino, entrando e uscendo dai bistrot con le immagini dei poeti maledetti che mi fissavano dai muri ingabbiati in quadri e in fotografie, i loro occhi mi seguirono e si insinuarono


con una forza che ancora adesso non comprendo. E in un pomeriggio, col freddo tagliente di un inverno di sole che impallidiva lasciando il posto ai lampioni che annunciavano la notte, varcai la soglia.


Entrai che fuori c'era la luce e, solo ora realizzo, da lì non sono più uscita.


Il mio Maestro, con un cappotto verde bottiglia e con il viso vispo e allegro, un'allegria che scaturiva da un'intelligenza curiosa, salutò con un abbraccio un omino piccolo, i capelli arruffati e la giacca color rubino, polverosa di anni. Parlarono poco ma si dissero molto con gli occhi. E mi trovai, dritti nei miei, due fasci azzurri di luce, colmi di tenerezza e di severità. Una severità che metteva alla prova. Ressi lo sguardo, uno sguardo che a un tempo sembrava liquefarmi e ricrearmi.


La ricompensa fu una stretta di mano. E, nel mentre, una presentazione. Sono molto lieto di conoscerla, sono George Whitman, disse. Al suono di quelle parole, mi sentii mancare. Il mio Maestro di allora se ne accorse e mi tenne per il braccio, affinché non cadessi.


Poi, lentamente, salii con lui scale ripide di legno e, con le gambe tremanti, gli occhi percorrevano tutto attorno. Non vedevo altro che libri, occupavano tutto lo spazio. Inventavano lo spazio, infilandosi ovunque, come fossero creature viventi. Lise e ricche di storie.


In cima alle scale si aprivano stanzette. Mi sedetti su una panca, gli occhi sgranati.


L'omino dallo sguardo azzurro era lì di fronte e mi osservava, aveva una tazza fumante tra le mani.


Me la porse, insieme a un invito: Non aver paura. Ma ora alzati da lì, sei seduta sopra un letto.


Mi alzai di scatto. E mi accorsi che quella panca coperta di libri era un giaciglio. E non era il solo.


Dalla finestrella la sagoma di Notre Dame era blu scura, striata di azzurro. Sembrava un quadro. Dentro, quel colore era negli occhi dell'omino. Notavo la sua svelta lentezza.


Sedemmo tutti e tre su un'altra panca, dopo aver spostato i libri che la ricoprivano. Erano libri di poeti. E bevemmo il té in silenzio, il té più buono che ancora ricordi. Il calore mi scendeva giù nel corpo ancora tremante ed ebbi il coraggio di dire, con gli occhi bassi che si alzavano contro la mia volontà per incrociare ancora quell'azzurro vivissimo: Ma lei ha a che fare con... Senza lasciarmi il tempo di continuare, mi rispose con un sorriso a metà tra l'ironia e la malinconia: sì, sono il nipote di Walt Whitman. Il suo spirito è con me. Poi il suo sorriso si allargò, forse per accogliere la mia commozione che non riuscivo più a camuffare. Parlammo con confidenza e mi spiegò che in quel luogo accoglieva scrittori e poeti di passaggio a Parigi, in cambio di un aiuto nel tenere in ordine la libreria. Chi si fermava lì doveva anche leggere, perlomeno un libro al giorno, per tenere in vita i libri, oltre che loro stessi.


Non ricordo quanto tempo passai lì dentro. Qualunque fosse il tempo misurato in secondi, minuti od ore, è ancora presente. George Whitman, prima di lasciarci andare via, mi porse un libro. Conteneva storie scritte proprio in quel luogo da chi lo aveva abitato. E il titolo riassumeva il suo pensiero: Angels in disguise. George Whitman ha sempre accolto tutti, convinto che non bisogna essere inospitali con gli stranieri perché possono essere angeli mascherati.


Da quel pomeriggio la vita mi rotolò da sola dalle mani e si fece veloce e io a inseguirla. Persi quasi tutto quello che allora andavo costruendo. E ancora adesso, quando mi sento persa, cerco di ricordare il fascio di luce azzurra che compone nell'aria le parole: Non aver paura.


Ma sento la mancanza di chi sa sostenermi per non farmi cadere.




sabato 29 novembre 2008

Un groove liberatorio

Il problema è tutto nella tua testa, mi disse

La risposta è semplice se la vedi logicamente

Vorrei aiutarti nella tua lotta per essere libero

Ci devono essere cinquanta modi per lasciare la tua amante

 

Lei disse non è mia abitudine intromettermi

E inoltre, spero che quel che intendo non vada perso o frainteso

Ma mi ripeterò, rischiando di sembrare cruda

Ci devono essere cinquanta modi per lasciare la tua amante

Cinquanta modi per lasciare la tua amante

 

 

Sgattaiola dal retro, Jack

Fai un nuovo piano, Stan

Non c'è bisogno di essere timido, Roy

Renditi libero

Salta sull'autobus, Gus

Non c'è da discutere tanto

Butta la chiave, Lee

E renditi libero

 

Sgattaiola dal retro, Jack

Fai un nuovo piano, Stan

Non c'è bisogno di essere timido, Roy

Ascoltami

Salta sull'autobus, Gus

Non c'è da discutere tanto

Butta la chiave, Lee

E renditi libero

 

Lei disse mi addolora vederti in questo stato

Vorrei poter fare qualcosa per vederti sorridere di nuovo

Io dissi lo apprezzo e puoi per favore spiegarmi i cinquanta modi

 

Lei disse perché non ci dormiamo su stanotte

E credo che al mattino inizierai a vedere la luce

E poi mi baciò e io capii che forse aveva ragione

Ci devono essere cinquanta modi per lasciare la tua amante

Cinquanta modi per lasciare la tua amante

 

Sgattaiola dal retro, Jack

Fai un nuovo piano, Stan

Non c'è bisogno di essere timido, Roy

Renditi libero

Salta sull'autobus, Gus

Non c'è da discutere tanto

Butta la chiave, Lee

E renditi libero

 

Sgattaiola dal retro, Jack

Fai un nuovo piano, Stan

Non c'è bisogno di essere timido, Roy

Ascoltami

Salta sull'autobus, Gus

Non c'è da discutere tanto

Butta la chiave, Lee

E renditi libero



Traduzione di 50 ways to leave your lover di Paul Simon










E questa è l'interpretazione in jazz:














Una sorta di paradiso

matisseNon c'è niente di più difficile per un pittore veramente creativo del dipingere una rosa, perché prima di tutto deve dimenticare tutte le altre rose che sono state dipinte.









H. Matisse








sabato 22 novembre 2008

Le musiche di Matisse e Picasso

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Ho trovato per un caso fortuito questo cd. Mi è venuto incontro, nel suo rosa squillante e con i capolavori L'acrobata di Picasso e Il Nudo Blu di Matisse sulla copertina. C'è una bellezza fuori, c'è una bellezza meravigliata dentro, ascoltando i due cd che contiene e c'è una bellezza nel testo critico che si scopre all'interno. E' in francese e in inglese. L'ho tradotto, per comprenderlo meglio e per condividerlo. Ce ne fossero dischi così. Se vi viene incontro un giorno, mentre pensate ad altro, aprite le orecchie come se fossero braccia e stringete i suoni dentro. Chiudete gli occhi e pensate ai segni lasciati da questi due grandi pittori. I colori vi esploderanno dentro con la delicatezza inesorabile di una rosa che sboccia. E i pensieri si faranno semplici e sonori, si solleveranno sulle punte per elevarsi in equilibrio su un mondo tanto scosso e incomprensibile nella sua ordinarietà da richiedere un equilibrio da acrobati e un'eleganza blu.





Ma, prima di leggere, vogliate deliziarvi:





 









 



 





"Il mio sogno musicale è ascoltare la musica delle chitarre di Picasso". Questo era il desiderio di Cocteau, alto sacerdote dell'unione di tutte le arti, scrittore, creatore di schizzi, regista e forza trainante del Gruppo dei Sei. Senza la presunzione di avverare il suo sogno, questo CD offre l'opportunità di ascoltare la musica che ha influenzato profondamente la sensibilità di Matisse e di Picasso e che è stata una fonte perenne della loro ispirazione. Alcune delle registrazioni sono state fatte da musicisti che i due artisti conoscevano e apprezzavano (tra gli altri, Cortot, Gershwin, Menuhin).

 

Matisse: la musica dei colori

 

Matisse fu un entusiasta appassionato di musica per tutta la sua vita, tanto da fare della musica uno dei temi essenziali delle sue opere. Era un grande amante del violino, che imparò a suonare a tarda età, quando temeva di diventare cieco e di perdere il contatto diretto con l'arte. Ammirava particolarmente Ysaye, del quale scrisse: "Questo alto, corpulento uomo usava il suo archetto per accarezzare le corde del suo violino tanto da sembrare un maestro di danza, con gesti così sinuosi e imperturbabili - gli inizi e le fini delle sue frasi quasi impercettibili, i loro centri sapientemente amplificati - che si poteva sentire proprio lo spirito della danza". Il violino appare molte volte nei suoi dipinti, come ne Le Violiniste alla finestra (1917), in cui è ravvisabile un autoritratto, e Interieur a la boite de violon (1919). Tra i compositori, Bach è un costante punto di riferimento: "Mi piacerebbe vedere in un dipinto la chiarezza e la purezza di Bach". Ma Matisse era anche estremamente interessato ai contemporanei: Prokofiev, che incontrò nel 1921 (un incontro che valse un ritratto); Shostakovich, del quale una sinfonia gli permise di "trovare" alcune finestre di vetro. Godette della duratura amicizia con Cortot, del quale fece un disegno a matita e carboncino nel 1926, con Gershwin, che incontrò allo svelare de La Danza nel 1933, e soprattutto con Poulenc. I due artisti avevano in comune lo stesso standard elevato di sobrietà ed economia. Poulenc asserì che cercava ispirazione nei disegni di Matisse per "andare dalla complessità alla semplicità della linea". La sua Sonata per due pianoforti del 1948 è dedicata al pittore. Matisse rifiutò ogni semplicistica assimilazione tra le due arti: "Dipingere richiede organizzazione, attraverso mezzi molto consci, come nelle altre arti. Organizzazione di forze - i colori sono forze - come nella musica organizzazione di timbri. Ma per questo non confondiamo pittura e musica. Le loro azioni non sono altro che parallele. Non sarebbe possibile trasformare Beethoven in pittura". Anche se linguaggio pittorico e musicale non si uniscono mai, possiedono mezzi paragonabili di funzionamento, "paralleli" che ammettono l'analogia tra armonia e colore, ritmo e forma. Matisse paragona la disposizione delle note della scala e dei colori e concepisce le relazioni dei colori in un quadro come se fossero polifonie. "Sette note, con leggere modifiche, sono abbastanza per scrivere qualsiasi partitura musicale. Perché non dovrebbe essere lo stesso per le arti plastiche?". Egli mischia i vocabolari dei suoni e delle immagini persino nella formulazione del suo credo estetico: "Ho provato a sostituire il vibrato con un'armonia che è più espressiva, più diretta, un'armonia la cui semplicità e sincerità mi avrebbe dato superfici più tranquille". Queste "superfici più tranquille" sono chiaramente le tinte piatte e le composizioni di collage nelle quali Matisse cerca una forma di sobrietà e delle quali fa uso, per esempio, nei dipinti La danza e la musica (1909-10), La Danza (1931) e La Musica (1939). L'articolazione dei colori tra di loro è quindi concepita in termini di ritmo. "Non basta stendere i colori, per bellissimi che siano, uno dopo l'altro. Altrimenti si avrebbe una cacofonia. Il Jazz rappresenta un ritmo e un significato." Il titolo Jazz (1947) è stato scelto da Matisse dopo aver determinato la composizione dei colori le cui armonie - violente ma sensibili - gli evocavano le sonorità del jazz. E' stato Gershwin a fargli conoscere le prime registrazioni di Dizzie Gillespie, Louis Armstrong e Billie Holiday.

 

Picasso: di chitarre e d'uomini

 

Per Picasso, la musica era prima di tutto una questione di amicizia. Le sue relazioni con i compositori del suo tempo erano strette. Poulenc gli aveva dedicato la cantata Figure umane e iniziò il suo ciclo di canzoni Il lavoro del pittore dai poemi di Elouard con Pablo Picasso. Picasso, da parte sua, mise le prime quattro lettere del pianista Alfred Cortot in uno dei suoi dipinti e fece un ritratto di Satie. Oltre a questo omaggio, una vera collaborazione intellettuale si stabilì tra Satie e Picasso dal 1917. Per certi aspetti la musica di Satie ha punti di contatto con l'affermazione del Cubismo. Come il Gruppo dei Sei, la cui guida era Satie, Picasso lavorò verso la semplificazione delle forme e trovò ispirazione nell'arte popolare. L'abolizione della prospettiva, la simultaneità dei punti di vista e la frammentazione delle forme che il Cubismo raggiunse sono echeggiate nella musica e nell'utilizzo di sonorità ruvide, del collage di suoni disparati e della giustapposizione di brevi violente sequenze in contrasto con i passaggi più calmi. Questa affinità estetica spiega in parte la presenza frequente di oggetti musicali nel lavoro di Picasso. Gli strumenti musicali sono molto utili per la distorsione e la stilizzazione. Rappresentano un insieme di volumi, di linee di forza, ed esprimono l'aspetto profondamente ritmico dell'estetica cubista, in cui le vibrazioni e le risonanze sono latenti. La chitarra è lo strumento preferito di Picasso: appare in quasi quaranta dipinti! Senza dubbio perché le sue curve ne fanno un prolungamento del corpo umano, fino a dargli un carattere erotico.

 

I balletti: verso l'opera d'arte totale?

 

Oltre al diverso approccio alla musica e al suo ruolo in relazione alla pittura, Matisse e Picasso avevano in comune lo sforzo di creare l'opera d'arte totale, una vera utopia estetica nata alla fine del diciannovesimo secolo. Una testimonianza eloquente può essere trovata nelle loro rispettive collaborazioni con Diaghilev e Massine per creare balletti nei quali fossero fuse tutte le arti. Matisse, affascinato dalla danza, collaborò al suo primo balletto, Il canto dell'usignolo, con le musiche di Strawinsky, nel 1919-20. Fu per questo progetto, sfortunatamente perso, che perfezionò la sua tecnica di usare fogli colorati ritagliati. Nel 1937 lavorò di nuovo con Massine per L'Etrange Farandole, ballato alla prima sinfonia di Shostakovich e ripreso con successo al Theatre de Chaillot nel 1939 con il titolo Rouge et noir. Picasso fece molte più scenografie per i balletti. Parade, rappresentato al Theatre du Chatelet il 17 maggio 1917, lo vide lavorare sia con Diaghilev sia con Satie sulla sceneggiatura di Cocteau. Un'altra commissione di Diaghilev, Il cappello a tricorno, fu messo in scena e acclamato trionfalmente all'Alhambra Theatre, a Londra nel 1919. La coreografia era di Massine, la musica di Manuel de Falla. Il compositore trovò il sipario di Picasso così bello da aggiungere una fanfara di apertura per dare al pubblico più tempo per ammirarlo. Poi venne Pulcinella, con la musica di Stravinsky e la coreografia di Massine, la prima fu all'Opera di Parigi il 15 maggio del 1920. Bisogna anche menzionare Mercure (1924), che unì Satie, Picasso e Massine, e Le train bleu (1924), che ostentò i talenti di Darius Milhaud per la musica, Bronislava Nijinska per la coreografia, Henri Laurens per le decorazioni e Coco Chanel per i costumi. Picasso fece i sipari di scena. Infine, ci fu un balletto di flamenco nel 1924, basato su un'idea di Duaghilev, un lavoro del quale si è persa ogni traccia. La musica permette di tracciare un parallelo affascinante tra i due pittori. Attraverso il loro specifico trattamento sullo stesso tema si può discernere un costante dialogo estetico. La Sérénade (1942) di Picasso richiama La Musique (1939) di Matisse e l'ultima La Lezione di piano, una composizione astratta che consiste di bande di diversi colori, rivela la sua visione - e la sua critica - del Cubismo. Oltre a questo, vi è il loro comune desiderio di unire la tradizione e la modernità, e di andare dritti all'essenziale come eterna esigenza.


 





 



Mia traduzione del testo originale di Frédérique Ait-Touati, che accompagna "Les musiques de Matisse-Picasso", etichetta Auvidis

venerdì 21 novembre 2008

Quanto è profondo l'oceano (quanto è alto il cielo)

Quanto ti amo?



Niente bugie



Quanto è profondo l'oceano?



Quanto è alto il cielo?



 



Quante volte al giorno penso a te?



Quante rose sono cosparse di rugiada?



 



Quanto lontano viaggerei



per essere dove sei



Quanto è lontano il viaggio



da qui a una stella?



 



E se mai ti perdessi



Quanto piangerei?



Quanto è profondo l'oceano?



Quanto è alto il cielo?



 



Quanto ti amo?



Niente bugie



Quanto è profondo l'oceano?



Quanto è alto il cielo?



 



Quante volte al giorno penso a te?



Quante rose sono cosparse di rugiada?



 



Quanto lontano viaggerei



per essere dove sei



Quanto è lontano il viaggio



da qui a una stella?



 



E se mai ti perdessi



Quanto piangerei?



Quanto è profondo l'oceano?



Quanto è alto il cielo?









Traduzione di How deep is the ocean (how high is the sky) di Irving Berlin.











mercoledì 19 novembre 2008

sabato 15 novembre 2008

Fuochi infatuati

coltrane

A volte succedono cose che non ti aspetti. Succedono così, senza avvertire, senza chiedere, senza rumore. Senti una musica e senti che devi seguirla. Così. Perché ti piace non lo sai, ma sai che il tuo orecchio e i tuoi occhi la vedono. Non sai dove vuole portarti e non sai cosa vuole da te. Ha solo la necessità di farsi sentire e dirti che esiste. Che è venuta fuori e deve andare e fermarsi per poi andare ancora dove non si sa. Un pifferaio magico, un incantatore di serpenti, un accendino che prende colore e una sigaretta che vola via, un sorriso che si riempie del mondo, panni stesi che si staccano dalle mollette e si mettono a ballare, la gente intorno che non vedi e le voci che non senti. Senti solo una musica non suonata, la senti nelle immagini e nei suoni di una voce, la senti nella testa, nelle mani, nelle parole, nelle ciglia lente che assaporano ogni nota. Stai bene. E non sai perché. Perché? Perché non importa. Hai addosso un grazie che fa male e brucia forte negli occhi. Una parola, una parola detta si perderebbe esplodendo. Hai freddo, sonno, tremi e senti un macigno sullo stomaco che ti toglie la voce. Ma stai bene. E continui a seguire la musica addosso ai passi che vagano e girano, voltano, ritornano e se ne vanno, rigirano e tornano e ogni posto già visto è diverso. Una piazza diventa una giostra e un circo, un fuoco per terra si fa sole, si spegne tutto in un attimo. Un cortocircuito e una scarica elettrica che paralizza. E poi sparisci, non ci sei più. Ci sono due occhi che si abbassano. Continui a seguire la musica mentre diventi sempre più piccola fino a scomparire in un casco. Senti poi qualcosa che ti cade sulle guance senza freno. Allora acceleri e spegni tutto, ma non ci riesci.



Molti anni dopo ritrovi queste parole scritte per chi cantava le note di John Coltrane passeggiando con te e ti ricordi che eri meravigliata, in estasi. Era un ragazzo dagli occhi grandi e verde grigio. Una volta mi scrisse: prometti di non smettere mai di scrivere.



Di lui, insieme alla musica, è rimasta questa promessa tra le mie cose preferite.











lunedì 10 novembre 2008

La Tartaruga

Questo è stato il mio primo disco. Lo ascoltavo portandomi appresso un mangiadischi arancione che tenevo come fosse una borsetta. Ho sempre adorato le tartarughe. E questa voce, gentile, allegra e lieve come solo i poeti sanno esserlo, è una delle più dolci per me:



 




sabato 8 novembre 2008

Frutti

frutti

Il fruttivendolo di qui ha un negozietto dalle luci calde che illuminano la frutta e la verdura come gioielli raccolti in piccole ceste. Pomodori di rubini, insalata di smeraldo, banane d'ambra, uva di giada.


Nella mia città il fruttivendolo ha solo gli occhi preziosi, due turchesi. E' la prima persona che vedo la mattina. Mi affaccio dal balcone e sta là sotto. Magro magro e giovane, ha braccialetti d'oro ai polsi dalle mani sporche di terra. Le unghie, le unghie soprattutto hanno una linea nera netta, come se si portasse appresso, sulle dita, cinque orizzonti per mano. C'è gente la mattina, la via che sta sotto casa è piena di negozi di alimentari, accanto il panificio e accanto il caseificio rendono la strada, quel pezzo di strada, piena di donne che entrano ed escono cariche di buste bianche gonfie di verdura, pane, formaggi. Frettolose le donne, scure in viso, tirate. Quando si riconoscono, sorridono. Chiedono dei loro figli, perlopiù. I loro figli non ci sono, sono in altre città. Tra di loro ne parlano come di uomini partiti al fronte piuttosto che per città universitarie.


Qui a Roma il fruttivendolo è tra un negozio di abbigliamento e una pizzeria al taglio. Sta sempre dentro. Ordinato, calmo, cortese.


L'uomo dagli occhi turchesi, invece, è agitato. Urla invece di parlare. Ogni tanto si mette le mani tra i biondissimi capelli lunghi, prima di aggiustare le casse di frutta esposte fuori, che intralciano la strada. Le sue braccia, da magrissime, si tendono di muscoli nudi all'aria salmastra, di scirocco.


Il suono secco della lattuga che si spacca sotto l'acqua è verde.


Devo accendermi una sigaretta e sedermi a osservare fuori.


Lascio correre l'acqua sulle foglie prive di un centro, ora sono tutte sparse e spaurite.


Ho comprato stamattina il cespo d'insalata, al mercato di frutta e verdura, non sono andata dal fruttivendolo.


Il vociare forte e invadente mi ha messo allegria.


Non sapevo che banco scegliere, mi sembravano tutti uguali. Ma ognuno espone diversamente tutti quei frutti della natura, a caso. Un caso che rispetta il carattere di ognuno. Una donna giovane dai denti di vecchia era molto accurata. Tutto chiuso in piccole buste di plastica trasparente, confezioni monodose al passo con il dilagante starsene da soli di molti.


Dietro un altro banchetto, un vecchio giovanotto (o un giovanotto vecchio) sembrava ridere di chiunque tranne che di se stesso. Mi sono avvicinata a lui, attratta dal suo berretto poggiato storto sulla testa coi capelli bianchi rasati e occhi appuntiti con striature azzurre, come fossero topazi. Mi ricordavano il ragazzo della mia città. Quegli occhi, ben nascosti, vagavano veloci dal mio viso alle sue verdure. Signorì, questi so' buoni, mi ha detto con la voce da fumatore. Provi, provi e poi si ricorderà di me mentre mangia. Quanti ne metto? I pomodori erano belli, era vero. Piccoli e all'apparenza succosi, rossi rossi. Mezzo chilo, gli ho detto. Il giovanotto ha preso un foglio di giornale, lo ha riempito di grappoli di pomodori e me li ha messi dentro la busta con i giornali che mi penzolava dall'avambraccio piegato. Poi ho preso delle arance, erano grandi come teste di neonato. Le ho accarezzate e mi sono ricordata di quando da piccola tenevo in braccio un cuginetto nato col bitorzolo in testa. In quel periodo ero attratta dagli aquiloni. Una volta, molto più grande, ne ho fatto volare uno, costruito insieme all'unico uomo che abbia saputo amarmi. Eravamo accanto a un mare autunnale e solitario, che riempivamo con grida di meraviglia per un aquilone che riusciva a stare alto, che tirava il filo trasparente in cerca di libertà e con la coda dai fiocchi di nastri rossi e arancioni, come quei pomodori e quelle arance.


Lasciai andare l'aquilone, si perse nel cielo, lo guardai vibrarsi in una libertà senza peso e senza meta. Lasciai quell'uomo, che trasformò il suo dolore in forza. Io imparai la struggente lezione che la libertà senza un filo che la regge è sbando.


Metto l'insalata in una coppa insieme ai pomodori. Leggo i giornali nel mio tempo ancora indefinito. Guardo le arance e sogno gli aquiloni.

venerdì 7 novembre 2008

Ci si contorce



in sforzi quotidiani e sbatte nell'aria un'essenza che non s'espande attende senza sperare spera strappando al sonno una libertà piccola come un gesto nel tempo e nel modo, continua giorno per giorno a cercare abbassando le spalle chinando la testa ma solo da fuori si vede, ché dentro è un fiorire e imparare per gusto piacere amore e brilla lo sguardo non visto e si eleva scivola nella giusta direzione che non è giustizia è quel che è, suono di un colore nato per sbaglio e sorpreso a respirare senza sconquasso lieve lieve come se volesse sparire per non dare fastidio e intanto cambia le vite di chi l'ha tirato fuori in una distrazione passione di tenera ribellione impreparati a saperlo vedere e a posare su un foglio su un legno o una tela su ali di vento su voli autunnali su sogni all'indietro su foglie tremanti o tappeti volanti.



Ci si contorce



nasciamo nel tumulto di un cielo in subbuglio e ci inarchiamo di improvvisa bellezza che dura ben poco sfumando di timidezza torniamo a sentirci un colore non visto che colora la luce.








domenica 2 novembre 2008

Essere

Essere più forti della propria tristezza


Non abbandonare il dolore della mancanza


di una carezza


Ma immergersi dentro, sapendo riemergere


senza niente tra le mani, solo con un soffio


di bellezza.

venerdì 31 ottobre 2008

Live it

Charlie



 



 



"Music is your own experience, your own thoughts, your wisdom. If you don't live it, it won't come out your horn. They teach you there's a boundary line to music. But, man, there's no boundary line to art."



Charlie Parker



 



Piazza pulita

Un rumore come di uccellini affannati alla mattina




a smuovere foglie, proteggere nidi




preparare voli di circospezione




Un rumore di manifestazione




Gremita la piazza e le viuzze intorno




Colori di leggeri palloncini




rosse bandiere, inossidabili chimere




Canti per diritti e necessità




Calpestati dalla falsità




Da tagli per proteggere chi il denaro lo ha già




Riforme pensate senza nessuna umanità




E il giorno dopo un complotto di menzogne




La gente trattata peggio che i topi nelle fogne




Se questo paese è sulla carta una democrazia




nei fatti è già da tempo volata via.




ai giovani uccellini resta solo una cosa da fare




far fagotto e, col groppo in gola, emigrare.

martedì 28 ottobre 2008

Sembra oggi

Piove




Piove. È uno stillicidio

senza tonfi

di motorette o strilli

di bambini.


Piove

da un ciclo che non ha

nuvole.

Piove

sul nulla che si fa

in queste ore di sciopero

generale.


Piove

sulla tua tomba

a San Felice

a Ema

e la terra non trema

perché non c'è terremoto

né guerra.


Piove

non sulla favola bella

di lontane stagioni,

ma sulla cartella

esattoriale,

piove sugli ossi di seppia,

e sulla greppia nazionale.


Piove

sulla Gazzetta Ufficiale

qui dal balcone aperto,

piove sul Parlamento,

piove su via Solferino,

piove senza che il vento

smuova le carte.


Piove

in assenza di Ermione

se Dio vuole,

piove perché l'assenza

è universale

e se la terra non trema

è perché Arcetri a lei

non l'ha ordinato.


Piove sui nuovi epistèmi

del primate a due piedi,

sull'uomo indiato, sul cielo,

ottimizzato, sul ceffo

dei teologi in tuta

o paludati,

piove sul progresso

della contestazione,

piove sui works in regress,

piove

sui cipressi malati

del cimitero, sgocciola

sulla pubblica opinione.


Piove, ma dove appari

non è acqua né atmosfera,

piove perché se non sei

è solo la mancanza

e può affogare.



Eugenio Montale, Satura II


 

domenica 26 ottobre 2008

Stelle

Condivido parole che scavano così tanto da innalzare alle stelle. Parole di Vincent Van Gogh. Frammenti tratti dalle sue lettere al fratello Theo. Van Gogh era convinto del misterioso legame tra colore e musica. Non oso mettere qui le immagini dei suoi quadri. Già mi sembra una sorta di profanazione metterci le sue meravigliose parole. Ma lo faccio perché possano, per quel poco possibile, diffondersi e albergare anche per un attimo nella sensibilità di chi vorrà leggerle. E in chi si commuove guardando le stelle.


Queste parole sono state scritte tra il 1888 e il 1890.


Eccole:


Che cosa strana è il tocco, il colpo di pennello. All’aria aperta, esposti al vento, al sole, alla curiosità della gente, si lavora come si può, si riempie il quadro alla disperata. Ed è proprio facendo così che si coglie il vero e l’essenziale - questa è la cosa più difficile.


L’olivo è cangiante come il nostro salice. [...] Ciò che il salice è da noi, lo sono con la stessa importanza l’olivo e il cipresso qui. Ciò che ho fatto è un realismo un po’ duro e grossolano accanto alle loro astrazioni, ma servirà a dare la nota agreste e saprà di terra.[...] Sono sempre più convinto [...] che lavorando assiduamente dal vero senza dirsi preventivamente: «voglio fare questo o quest’altro», ma lavorando come se si facessero delle scarpe, senza preoccupazioni artistiche, non si farà sempre bene, ma verrà il giorno in cui, anche non pensandoci, si troverà un soggetto di pari valore del lavoro di quelli che ci hanno preceduto. Si impara a conoscere un paese, che in fondo è completamente diverso da come ci è apparso a prima vista. Ma se al contrario ci si dice: «voglio finire meglio i miei quadri, voglio farli con cura», e un sacco di idee del genere, le difficoltà del tempo e dei soggetti mutevoli arrivano ad essere insormontabili, e finisco col rassegnarmi dicendomi che sono l’esperienza e il piccolo lavoro di ogni giorno che a lungo andare maturano e permettono di completare un quadro o di farlo più esatto. Perciò il lavoro lento e continuo è la sola strada, e qualsiasi ambizione di far bene è sbagliata. Perciò è meglio rovinare le tele montando sulla breccia ogni mattina, che riuscire a farle. Per dipingere sarebbe assolutamente necessaria una vita tranquilla e regolata [...]. Se, diciamo, non dovessi più dipingere, che cosa potrei fare? Eh, bisognerebbe inventare un processo pittorico più veloce, meno costoso di quello all’olio, e ugualmente duraturo. Un quadro... Finirà col diventare banale come un discorso, e un pittore un essere in arretrato di un secolo. Eppure è un peccato che sia così. [...] E ora andrò all’attacco dei cipressi e della montagna.


AVEVO INCOMINCIATO FIRMARE I QUADRI, MA HO SMESSO SUBITO, MI SEMBRAVA TROPPO CRETINO. Su una marina c’è un’enorme firma rossa, perché volevo fare una nota rossa nel verde.


È veramente un fenomeno strano che tutti gli artisti, poeti, musicisti, pittori, siano materialmente degli infelici - anche quelli felici [...] Ciò riporta a galla l'eterno problema: la vita è tutta visibile da noi, oppure ne conosciamo prima della morte solo un emisfero?

I pittori - per non parlare che di loro - quando sono morti e sepolti parlano con le loro opere a una generazione successiva o a diverse generazioni successive.

È questo il punto o c'è ancora dell'altro? Nella vita di un pittore la morte non è forse quello che c'è di più difficile.

Dichiaro di non saperne assolutamente nulla, ma LA VISTA DELLE STELLE MI FA SEMPRE SOGNARE, come pure mi fanno pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche città e villaggi. Perché, mi dico, i punti luminosi del firmamento ci dovrebbero essere meno accessibili dei punti neri della carta di Francia? Se prendiamo il treno per andare a Tarascon oppure a Rouen, possiamo prendere la morte per andare in una stella. Ciò che però è certamente esatto, in questo ragionamento, è che essendo in vita non possiamo arrivare in una stella, non più di quanto, essendo morti, possiamo prendere il treno.

Comunque non mi sembra impossibile che <le malattie> possano costituir dei mezzi di locomozione celeste, così come i battelli, gli omnibus e il treno sono mezzi di locomozione terrestri. Morire tranquillamente di vecchiaia sarebbe come viaggiare a piedi.


V.Van Gogh

sabato 25 ottobre 2008

In una nebbia

La nebbia si dirada



i primi a emergere sono gli occhi



avvolti dal bianco



di un inverno passato



le labbra ancora nascoste



mormorano in ruscelli sotterranei



non ancora in canti



gli uccelli al mattino scuotono foglie



cadono rosse scricchiolano croccanti



la nebbia si dirada



e apre un tempo nuovo



indefinito, non nominabile in nessuna stagione



sconosciuto e ampio di possibilità



non cancello il passato, lo lascio su un uscio



fruscia ancora ma non addolora più



è mio, comunque sia.



Assaporo il gusto di guardare avanti.





 




venerdì 24 ottobre 2008

Appassire

rosa appassitaInquietanti rose


bianche e rosse


stese come corpi


Inquieta passo


per corridoi dai molti colori


non riesco a entrare


in nessuna stanza


Luce a intermittenza


Sveglia a volte


poche per costruire una vita


Che appassisce


e, in un sogno, passa.

lunedì 20 ottobre 2008

Un abbraccio

Un abbraccio



scioglie il ghiaccio



scioglie tutto



pure gli occhi



e due adulti disillusi



giocan caldi, son marmocchi



con i corpi, per un attimo,



amorevolmente fusi.





 




domenica 19 ottobre 2008

Passo

passi


 


Esco con un gesto audace


dal cono di luce degli specchi


Il buio mi acceca più di prima.


E' un baratro o una salvezza,


rischiare?


Dalla domanda


mi accorgo che ancora


non ho mosso un passo.

Per te.

Anime gemelle


Sono come uno spirito

che nell'intimo del suo cuore ha dimorato,

e le sue sensazioni ha percepito, e i suoi pensieri

ha avuto, e conosciuto il più profondo impulso

del suo animo: quel flusso silenzioso che al sangue solo

è noto, quando tutte le emozioni

in moltitudine descrivono la quiete di mari estivi.


Io ho liberato le melodie preziose

del suo profondo cuore: i battenti

ho spalancato, e in esse mi sono rimescolato.

Proprio come un'aquila nella pioggia del tuono,

quando veste di lampi le ali.


P.B.Shelley

sabato 18 ottobre 2008

Jazz in immagini vive

BasquiatSì, la musica parla più forte di ogni parola. E lo diceva Bird, Charlie Parker.




Ma alcune immagini riescono a suonare.




Quelle che J.M. Basquiat ha tirato fuori hanno una forza che passa dalla magia sotterranea e sciamanica e si libera in una contemporaneità frantumata.




Andate a vedere i suoi quadri. Le sue linee. Ogni linea ha un significato, diceva J.M. Basquiat.




E vi innamorerete di questo genio bambino dalla faccia seria e dalla scioltezza colorata dei gesti. E sentirete suonare dentro Miles, Bird, Dizzie.




 




 






volto


 


 


 


 


 


 


 


 


Veloce scivola il colore in tratti d'acqua e saliva


e dita scendono salgono a tenere un segno, scoprirlo


allungarlo fino al piacere del disfacimento


del punto di non ritorno


perdersi su un foglio


è difficile come nel mondo


perdersi scivolando


fili spezzati


crolla il corpo


s'accascia minuto


poi si solleva


un passo


gigantesco


prima di posarsi sulla strada


di un volto.


 

mercoledì 15 ottobre 2008

Gordon Cliff

Luigi Tenco



 



 



 



 



 



 



Ascoltare

rannicchiarsi


 


 


 


 


 


 


 


Strattonata


Incespicante


Insofferente


Indecisione


Pianto e mollo


E poi di nuovo


Poi ritento


Ogni attimo in un tempo


Che non va


Si ferma a volte


Come fosse preso a botte


Si ripara


Si rannicchia


Parla piano


Sottovoce


Quasi tace


Però guarda


Perché sente


Tutto attorno


Tutto dentro


Tutto va


E poi non torna


Dove sta quella carezza


Non si trova, è già passata?


Ora ancora un po' tremante


Tra le note mi distendo


Il respiro torna lento


Passa un poco lo sgomento


Chiudo gli occhi


Eccoti qua.


 

lunedì 13 ottobre 2008

Tra il pensare e il fare

Sono sempre quasi sconvolta dalla concretezza che ci vuole nell'atto della creazione.




E non riesco mai a comprendere come si possa conciliare il pensiero con il fare.




Non si può solo pensare, non si può soltanto fare. E' questo equilibrio che è da sondare.




Giorni di fervore e giorni che passano vuoti. E non è una questione di intenzione.




Riuscire a lasciarsi fluire senza ansia, ascoltando. Sì, ma perché fremo?




Non riesco ancora a capire, temo.




Ma quel che è più sconveniente è che non ho voglia di far niente.

giovedì 9 ottobre 2008

Mia bimba malinconica

Vieni da me, mia bimba malinconica



Sorridi e non essere triste



Tutte le tue paure sono sciocche fantasie, forse sai



tesoro che amo te.



 



Ogni nuvola ha una linea d'argento



Aspetta che il sole vi splenda attraverso



Sorridi, mio caro tesoro, mentre ogni lacrima ti bacio via



O arriverà anche a me la malinconia.  



Traduzione delle parole di My Melancholy Baby scritte da George A. Norton.



 



 



martedì 7 ottobre 2008

domenica 5 ottobre 2008

Almost blue

Quasi blu



Quasi facendo cose che facevamo noi



C'è una ragazza qui ed è quasi tu



Quasi



Tutte le cose che hai promesso con gli occhi



Le vedo nei suoi



Ora i tuoi occhi sono rossi di pianto



Quasi blu



Flirtando con questo disastro, lo sono diventato



E ne ho preso il nome da stupido che voleva esserlo



Quasi blu, è quasi commovente, quasi sempre lo sarà



C'è una parte di me che rimane vera, sempre



Non tutte le cose buone finiscono, ora solo alcune poche e scelte



Ho visto una coppia così triste



Quasi me



Quasi tu



Quasi blu



Traduzione delle parole di Almost Blue, scritte da Elvis Costello per Chet Baker. Il termine blue originale è veramente intraducibile: contiene il significato del colore e dello stato d'animo, una tristezza malinconica. Avrei potuto tradurlo con giù, anche per motivi di suono, ma avrebbe perso il colore, che è importante. Ho preferito usare il più vicino, anche se impreciso, blu.  








Un piccolo verde omaggio

Suono VerdeA un nuovo intenso blog, il blog di Nunzio Rotondo:


www.nunziorotondo.splinder.com


Questi segni improvvisati sono venuti fuori ascoltando il suo Suono Verde.


 


 

limone








 








 








 I limoni


Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi

fossi dove in pozzanghere

mezzo seccate agguantano i ragazzi

qualche sparuta anguilla:

le viuzze che seguono i ciglioni,

discendono tra i ciuffi delle canne

e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.



Meglio se le gazzarre degli uccelli

si spengono inghiottite dall'azzurro:

più chiaro si ascolta il sussurro

dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,

e i sensi di quest'odore

che non sa staccarsi da terra

e piove in petto una dolcezza inquieta.

Qui delle divertite passioni

per miracolo tace la guerra,

qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza

ed è l'odore dei limoni.



Vedi, in questi silenzi in cui le cose

s'abbandonano e sembrano vicine

a tradire il loro ultimo segreto,

talora ci si aspetta

di scoprire uno sbaglio di Natura,

il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,

il filo da disbrogliare che finalmente ci metta

nel mezzo di una verità.

Lo sguardo fruga d'intorno,

la mente indaga accorda disunisce

nel profumo che dilaga

quando il giorno piú languisce.

Sono i silenzi in cui si vede

in ogni ombra umana che si allontana

qualche disturbata Divinità.



Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo

nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra

soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.

La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta

il tedio dell'inverno sulle case,

la luce si fa avara - amara l'anima.

Quando un giorno da un malchiuso portone

tra gli alberi di una corte

ci si mostrano i gialli dei limoni;

e il gelo del cuore si sfa,

e in petto ci scrosciano

le loro canzoni

le trombe d'oro della solarità.






Eugenio Montale, da Ossi di seppia 1920-1927

 

sabato 4 ottobre 2008

Ho avuto

 

Ho avuto in regalo un giorno d'autunno che sembrava primavera,

Una cena preparata col cuore.

Un sorriso da lontano di nonna, vivissima, che muore.

La voce di mio padre e la sua acerba emozionata tenerezza.

In regalo nessuna multa sul parabrezza.

Da nonno la memoria che ha perso lasciando spazio al desiderare

cose piccole, dette in imperterrito forbito linguaggio,

come un abbraccio e il chiedermi di tornare e il suo

Stai bene? Me ne compiaccio.

Ho avuto in regalo auguri di amici in ritardo dispiaciuti

e auguri inattesi da sconosciuti.

In regalo un anno passato tra musica e malinconie,

tra illusioni, arrivi e partenze a cercare vie.

Un messaggio di mia madre a ricordarmi che sono nata

quando un passerotto è volato via.

Ma il più bel regalo è stata questa

- ancora ingenua e giovane -

poesia ritrovata.

venerdì 3 ottobre 2008

Dopo che te ne sarai andato

Dopo che te ne sarai andato e in lacrime mi avrai lasciato


Dopo che te ne sarai andato, non potrai negare


Ti sentirai infelice, triste sarai


Ti mancherà la più cara compagna che abbia avuto mai




Arriverà il momento, non dimenticarlo

A
rriverà il momento In cui ti pentirai


Un giorno, sempre più solo,


Il tuo cuore andrà in pezzi come il mio e mi rivorrai


Dopo che te ne sarai andato, dopo che te ne sarai andato via.


 


Dopo che me ne sarò andata, dopo che ci saremo separati,


dopo che me ne sarò andata ti sveglierai


Capirai che sei stato cieco 

Hai permesso a una di cambiarti in modo così bieco


 


Dopo tutti gli anni passati insieme


In gioia e dolore, in tutti i venti


Un giorno, triste e scoraggiato ti troverai


Sentirai il bisogno di me come all'inizio dei tempi


Dopo che me ne sarò andata, dopo che me ne sarò andata via.


 


Traduzione delle parole di Henry Creamer e Turner Layton