E comunque guardando i volti per strada, nell'anonimato della folla, tra occhi sempre più stanchi, tra modernità finte, negli autobus sporchi, tra lo smog degli incroci, in un'urbana sopravvivenza dall'odore di giungla, in un'eleganza sfiorita in abiti dall'odore di petrolio, tra chiacchiere inutili, discorsi frantumati, faccende da sbrigare, luci che un tempo avevano un arancione incantevole e che ora si stinge, tra palazzi color carne, screpolati dalla noncuranza, comunque i volti che contengono una qualche testarda convinzione, speranza, forza e futuro non sono certo più i nostri. Vengono da molto, molto lontano. E i gridi allegri di bambini hanno lo stesso identico suono.
mercoledì 25 febbraio 2009
domenica 22 febbraio 2009
Per correttezza
Ho cancellato quello che avevo scritto in un momento di foga. Era una critica aperta con tanto di nomi e cognomi. Non ho cambiato pensiero, ma credo che una certa forma vada conservata. Criticare è sacrosanto e ognuno può esprimere i propri gusti. Ma farlo da un blog in cui si usa l'anonimato non mi pareva corretto. E inoltre la critica, secondo me, appartiene ai critici o a chi fa un mestiere simile a chi viene criticato.
Io non sono né una scrittrice, né un critico, né un musicista.
Sono una persona che ogni tanto si esprime in questo spazio libero che qualcuno forse ogni tanto legge.
Per quel che posso questa libertà credo sia meglio usarla nella direzione di ciò che secondo me vale la pena leggere, ascoltare, imparare e nelle piccole cose che scrivo o disegno senza alcuna velleità. Lasciando tutto il resto tranquillamente e semplicemente fuori.
Tutto qui.
giovedì 19 febbraio 2009
Passi sulle parole
martedì 17 febbraio 2009
Scegliere, signori!
lunedì 16 febbraio 2009
venerdì 13 febbraio 2009
Sotto pressione
Che preme e comprime come nessuno vorrebbe
spezza in due una famiglia
sbatte la gente in strada
È il terrore di sapere
Cos’è questo mondo
Guardi qualche buon amico
che grida "fatemi uscire"
E che implora il domani, che sia migliore
Pressione sulla gente, gente in strada
che fa tutto a pezzi e prende a calci la mia mente sul pavimento
Questi sono quei giorni in cui le disgrazie
non vengono mai sole
Gente in strada, gente in strada
È il terrore di sapere
Cos’è davvero questo mondo
Guardi qualche buon amico
gridare " fatemi uscire"
Implorare che domani sia migliore
Pressione sulla gente, gente in strada
Ignorare tutto come ciechi neutrali
Arrivare con un po’d’amore ma è così ferito e lacerato
Perché, perché, perché
Amore
Folli risate sotto la pressione che ci sgretola
Non possiamo darci un'altra possibilità?
Perché amore è una parola così sorpassata
E l’amore sfida a prenderti cura della
gente sull’orlo del baratro
E l’amore sfida a cambiare
il modo di
Avere cura di noi stessi
Questo è il nostro ultimo ballo
Questo è il nostro ultimo ballo
Questi siamo noi
Sotto pressione
Sotto pressione
Pressione
martedì 10 febbraio 2009
Some of these days...
Canta. Eccone due che si son salvati: l'ebreo e la negra. salvati. Magari si saran creduti perduti fino alla fine, annegati nell'esistenza. E tuttavia nessuno potrà pensare a me come io penso a loro. Nessuno, nemmeno Anny. Per me sono un po' come morti, un po' come eroi da romanzo; si son lavati del peccato d'esistere. Non completamente beninteso — ma quel tanto che un uomo può fare. Quest'idea mi sconvolge d'un tratto, perché non speravo nemmeno più questo. Sento qualcosa che mi sfiora timidamente e non oso nemmeno muovermi per paura che scompaia. Qualcosa che non conoscevo più: una specie di gioia.
La negra canta. Allora, è possibile giustificare la propria esistenza? Un pochino? Mi sento straordinariamente intimidito. Non che abbia molta speranza. Ma sono come uno completamente gelato dopo un viaggio nella neve, che entri di colpo in una camera tiepida. Penso che resterebbe immobile vicino alla porta, ancora freddo, e che lenti brividi percorrerebbero il suo corpo.
You'll miss me honey.
Non potrei forse provare... Naturalmente, non si tratterebbe d'un motivo musicale... ma non potrei forse, in un altro genere?... Dovrebbe essere un libro: non so far altro. Ma non un libro di storia: la storia parla di ciò che è esistito — un esistente non può mai giustificare un altro esistente. Il mio errore era di voler resuscitare il signor di Rollebon. Un'altra specie di libro. Non so bene quale — ma bisognerebbe che s'immaginasse, dietro le parole stampate, dietro le pagine, qualche cosa che non esistesse, che fosse al di sopra dell'esistenza. Una storia, per esempio, come non possono capitarne, un'avventura. Dovrebbe essere bella e dura come l'acciaio, e che facesse vergognare le persone della propria esistenza.
Me ne vado, mi sento incerto. Non oso prendere una decisione. Se fossi sicuro d'aver talento... Ma mai — mai ho scritto niente di questo genere; articoli storici, sì — e ancora. Un libro. Un romanzo. E ci sarebbe gente che leggerebbe questo romanzo e direbbe: è Antonio Roquentin che l'ha scritto, era un tipo rosso che si trascinava per i caffè, e penserebbe alla mia vita come io penso a quella di questa negra: come a qualcosa di prezioso e di semileggendario. Un libro. Ma naturalmente da principio ciò non sarebbe che un lavoro noioso e stanchevole, non m'impedirebbe d'esistere né di sentire che esisto. Ma verrebbe pure un momento in cui il libro sarebbe scritto, sarebbe dietro di me e credo che un po' della sua luce cadrebbe sul mio passato. Allora, forse, attraverso di esso, potrei ricordare la mia vita senza ripugnanza. Forse un giorno, pensando precisamente a quest'ora, a quest'ora malinconica in cui attendo, con le spalle curve, che sia ora di salire sul treno, sentirei il mio cuore battere più in fretta e mi direi: quel giorno a quell'ora è cominciato tutto. E arriverei — al passato, soltanto al passato — ad accettare me stesso.
Scende la notte. Al primo piano dell'albergo Printania si sono illuminate due finestre. Il cantiere della stazione nuova odora forte di legno umido: domani pioverà, a Bouville.
da La Nausea, di J.P. Sartre
lunedì 9 febbraio 2009
domenica 8 febbraio 2009
Riconoscere le cose per quello che sono.
Non poteva esserci
scempio più atroce
di EUGENIO SCALFARI
IL CASO ENGLARO appassiona molto la gente poiché pone a ciascuno di noi i problemi della vita e della morte in un modo nuovo, connesso all'evolversi delle tecnologie. Interpella la libertà di scelta di ogni persona e i modi di renderla esplicita ed esecutiva. Coinvolge i comportamenti privati e le strutture pubbliche in una società sempre più multiculturale. Quindi impone una normativa per quanto riguarda il futuro che garantisca la certezza di quella scelta e ne rispetti l'attuazione.
Ma il caso Englaro è stato derubricato l'altro ieri da simbolo di umana sofferenza e affettuosa pietà ad occasione politica utilizzabile e utilizzata da Silvio Berlusconi e dal governo da lui presieduto per raggiungere altri obiettivi che nulla hanno a che vedere con la pietà e con la sofferenza. Non ci poteva essere operazione più spregiudicata e più lucidamente perseguita.
Condotta in pubblico davanti alle televisioni in una conferenza stampa del premier circondato dai suoi ministri sotto gli occhi di milioni di spettatori.
Non stiamo ricostruendo una verità nascosta, un retroscena nebuloso, una opinabile interpretazione. Il capo del governo è stato chiarissimo e le sue parole non lasciano adito a dubbi. Ha detto che "al di là dell'obbligo morale di salvare una vita" egli sente "il dovere di governare con la stessa incisività e rapidità che è assicurata ai governanti degli altri paesi".
Gli strumenti necessari per realizzare quest'obiettivo indispensabile sono "la decretazione d'urgenza e il voto di fiducia"; ma poiché l'attuale Costituzione semina di ostacoli l'uso sistematico di tali strumenti, lui "chiederà al popolo di cambiare la Costituzione".
La crisi economica rende ancor più indispensabile questo cambiamento che dovrà avvenire quanto prima.
Non ci poteva essere una spiegazione più chiara di questa. Del resto non è la prima volta che Berlusconi manifesta la sua concezione della politica e indica le prossime tappe del suo personale percorso; finora si trattava però di ipotesi vagheggiate ma consegnate ad un futuro senza precise scadenze. Il caso Englaro gli ha offerto l'occasione che cercava.
Un'occasione perfetta per una politica che poggia sul populismo, sul carisma, sull'appello alle pulsioni elementari e all'emotività plebiscitaria.
Qui c'è la difesa di una vita, la commozione, il pianto delle suore, l'anatema dei vescovi e dei cardinali, i disabili portati in processione, le grida delle madri. Da una parte. E dall'altra i "volontari della morte", i medici disumani che staccano il sondino, gli atei che applaudono, i giudici che si trincerano dietro gli articoli del codice e il presidente della Repubblica che rifiuta la propria firma per difendere quel pezzo di carta che si chiama Costituzione.
Quale migliore occasione di questa per dare la spallata all'odiato Stato di diritto e alla divisione dei poteri così inutilmente ingombrante? Non ha esitato davanti a nulla e non ha lesinato le parole il primo attore di questa messa in scena. Ha detto che Eluana era ancora talmente vitale che avrebbe potuto financo partorire se fosse stata inseminata. Ha detto che la famiglia potrebbe restituirla alle suore di Lecco se non vuole sottoporsi alle spese necessarie per tenerla in vita.
Ha detto che i suoi sentimenti di padre venivano prima degli articoli della Costituzione. E infine la frase più oscena: se Napolitano avesse rifiutato la firma al decreto Eluana sarebbe morta.
Eluana scelta dunque come grimaldello per scardinare le garanzie democratiche e radunare in una sola mano il potere esecutivo e quello legislativo mentre con l'altra si mette la museruola alla magistratura inquirente e a quella giudicante.
Questo è lo spettacolo andato in scena venerdì. Uno spettacolo che è soltanto il principio e che ci riporta ad antichi fantasmi che speravamo di non incontrare mai più sulla nostra strada.
Ci sono altri due obiettivi che l'uso spregiudicato del caso Englaro ha consentito a Berlusconi di realizzare.
Il primo consiste nella saldatura politica con la gerarchia vaticana; il secondo è d'aver relegato in secondo piano, almeno per qualche giorno, la crisi economica che si aggrava ogni giorno di più e alla quale il governo non è in grado di opporre alcuna valida strategia di contrasto.
Dopo tanto parlare di provvedimenti efficaci, il governo ha mobilitato 2 miliardi da aggiungere ai 5 di qualche settimana fa. In tutto mezzo punto di Pil, una cifra ridicola di fronte ad una recessione che sta falciando le imprese, l'occupazione, il reddito, mentre aumentano la pressione fiscale, il deficit e il debito pubblico. Di fronte ad un'economia sempre più ansimante, oscurare mediaticamente per qualche giorno l'attenzione del pubblico depistandola verso quanto accade dietro il portone della clinica "La Quiete" dà un po' di respiro ad un governo che naviga a vista.
Quando crisi ingovernabili si verificano, i governi cercano di scaricare le tensioni sociali su nemici immaginari. In questo caso ce ne sono due: la Costituzione da abbattere, gli immigrati da colpire "con cattiveria".
Il Vaticano si oppone a quella "cattiveria" ma ciò che realmente gli sta a cuore è mantenere ed estendere il suo controllo sui temi della vita e della morte riaffermando la superiorità della legge naturale e divina sulle leggi dello Stato con tutto ciò che ne consegue. Le parole della gerarchia, che non ha lesinato i complimenti al governo ed ha platealmente manifestato delusione e disapprovazione nei confronti del capo dello Stato ricordano più i rapporti di protettorato che quelli tra due entità sovrane e indipendenti nelle proprie sfere di competenza. Anche su questo terreno è in atto una controriforma che ci porterà lontani dall'Occidente multiculturale e democratico.
Nel suo articolo di ieri, che condivido fin nelle virgole, Ezio Mauro ravvisa tonalità bonapartiste nella visione politica del berlusconismo. Ha ragione, quelle somiglianze ci sono per quanto riguarda la pulsione dittatoriale, con le debite differenze tra i personaggi e il loro spessore storico.
Ci sono altre somiglianze più nostrane che saltano agli occhi. Mi viene in mente il discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925, cui seguirono a breve distanza lo scioglimento dei partiti, l'instaurazione del partito unico, la sua identificazione con il governo e con lo Stato, il controllo diretto sulla stampa. Quel discorso segnò la fine della democrazia parlamentare, già molto deperita, la fine del liberalismo, la fine dello Stato di diritto e della separazione dei poteri costituzionali.
Nei primi due anni dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva conservato una democrazia allo stato larvale. Nel novembre del '22, nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, aveva esordito con la frase entrata poi nella storia parlamentare: "Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli".
Passarono due anni e non ci fu neppure bisogno del bivacco di manipoli: la Camera fu abolita e ritornò vent'anni dopo sulle rovine del fascismo e della guerra.
In quel passaggio del 3 gennaio '25 dalla democrazia agonizzante alla dittatura mussoliniana, gli intellettuali ebbero una funzione importante.
Alcuni (pochi) resistettero con intransigenza; altri (molti) si misero a disposizione.
Dapprima si attestarono su un attendismo apparentemente neutrale, ma nel breve volgere di qualche mese si intrupparono senza riserve.
Vedo preoccupanti analogie. E vedo titubanze e cautele a riconoscere le cose per quello che sono nella realtà. A me pare che sperare nel "rinsavimento" sia ormai un vano esercizio ed una svanita illusione. Sui problemi della sicurezza e della giustizia la divaricazione tra la maggioranza e le opposizioni è ormai incolmabile. Sulla riforma della Costituzione il territorio è stato bruciato l'altro ieri.
E tutto è sciaguratamente avvenuto sul "corpo ideologico" di Eluana Englaro. Non ci poteva essere uno scempio più atroce.
da La Repubblica di oggi, 8 febbraio 2009.
http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/cronaca/eluana-englaro-2/scalfari/scalfari.html
mercoledì 4 febbraio 2009
There will never be another you
Ci saranno molte altre notti come questa
E io starò a guardare insieme a qualcun altro
Ci saranno altre canzoni da cantare, un altro autunno, un'altra primavera, ma non ci sarà mai un altro tu
Ci saranno altre labbra che bacerò, ma non mi daranno i brividi come le tue
Sì, potrò sognare un milione di sogni, ma come potrebbero avverarsi
se non ci sarà mai più un altro tu.
There will never be another you è la canzone originale, qui tradotta di fretta. Se potete, ascoltate la versione di Chet Baker. Se no, cercatela suonata in qualche locale. O alla tromba o al sax, è meglio. Cercate, che è bellissima. Oppure eccola qui, eseguita da un gran pianista: