sabato 29 agosto 2009

Acqua

Trovo ancora sollievo in pochi posti. Seduta al tavolino di un bar, ad esempio. Che sia nascosto, poco frequentato e anonimo. Riesco a scrivere. L'aria che si muove attorno e quella possibilità di imprevisto, di libertà e impermanenza rendono sensato far scorrere la penna sul foglio, quantomeno naturale.


Non ho una casa, un luogo che possa definire così. Non ho una casa dentro di me. E questa città, che sto imparando a odiare come un amante troppo bello e in preda a crisi adolescenziali, questa città segnata come il luogo in cui abito da amori di passaggio e feroci, riesce ancora a offrire viste magnifiche. Fontane... ne osservo una adesso, zampillante al centro di una piazza larga, un abbraccio che non si chiude, statue plastiche nere di bronzo che si staccano dal bianco delle gallerie attorno a semicerchio tutte fredde di marmo e stemperate dai ricami finemente cesellati sulle arcate. Sollievo nell'afa. E' questo crescere? Raffreddarsi in una forma, possibilmente elegante e immobile e rassicurante.


Acqua, invece. Il centro di ognuno è sempre in movimento. Scorre e si ferma in istanti di luce, diamanti istantanei sospesi in aria prima di rituffarsi in discesa e in spruzzi nella vasca del tempo che tutto riporta in superficie. Dove andare, adesso? Come fare a far cadere illusioni, sempre nuove e sempre le stesse, inesistenti per natura eppure così forti nella loro pervicacia d'erbaccia? Lasciare che risalgano e poi ancora, giù e in alto.


La gente che lavora nei bar ha pelli scure, occhi altri. Tutto si regge sulle loro mansioni. Mi guardano con curiosità e pesanti di giudizio estemporaneo. Una donna seduta da sola che scrive, da loro forse non esiste o si nasconde o ha cose ben più importanti da fare. Ma tutto passa nella loro testa con il pensiero di come pagare un posto in cui dormire e chissà in quanti. Lascio un po' di spiccioli in mancia. Un sorriso mi cade addosso, spontaneo, poi si perde nell'aria torrida di rassegnata incertezza.